Aspetti artigianale

“Il modo di operare [il bisso grezzo] è semplice. Le ciocche vengono strappate dalla conchiglia, lavate prima due volte con acqua e sapone e tre volte con acqua limpida, poi pettinate e arrotolate sulla rocca. Si prendono tre fili, li si avvolge e lavorando a maglia si producono guanti, calze e interi vestiti. Hanno lo splendore del drap de Vigogne che si indossa comodamente e sembrano belli.” (Stolberg 1794, tradotto dal tedesco di Laura A. Colaci)

Quasi tutto quello che sappiamo oggi sulla raccolta della Pinna nobilis, l’estrazione della barba, la produzione e la lavorazione del bisso marino, proviene da fonte del XVIII, XIX e della prima metà del XX secolo. I processi e gli strumenti utilizzati sono essenzialmente simili, ma mostrano diverse variazioni locali. Nel 1916, Basso-Arnoux lo descrive in modo particolarmente dettagliato per la Sardegna e nel 1928, Mastrocinque lo fa per Taranto. Dato che un numero crescente di tessitori sardi di seta marina si sta facendo conoscere al pubblico nell’ambito del progetto, si può anche descrivere lo stato attuale dell’artigianato. Come nel corso del progetto sempre più spesso dei tessitrici sardi di bisso marino compaiono in pubblico, possiamo anche descrivere lo stato attuale dell’artigianato. Arianna Pintus, una giovane sarda da Tratalias, lo mostra in un breve video.

Quando si registra la tradizione della lavorazione del bisso marino, bisogna tener presente che non si tratta di qualcosa di statico. Le singole fasi della lavorazione e il loro processo si sono evoluti nel corso dei secoli, a seconda dei sistemi economici, sociali e culturali, adattandosi alle esigenze locali e alle relative aspettative.

Ciuffo di bisso pulito e pettinato

Bisso marino, pronto per essere filato, Mastrocinque 1928

Dal ciuffo di bisso al bisso marino: la lavorazione dalla pulizia al prodotto finito, Mastrocinque 1928

Strumenti per fare il bisso marino: pettine, fuso, arcolaio

Arianna Pintus, Sardinia, filando il bisso marino

Tessitura di bisso marino su lino, Sorelle Pes 2007

Poiché nessun tessuto antico di bisso marino si è conservato, non sappiamo come fosse elaborato. Quasi la metà di tutti i reperti catalogati è semplicemente lavorato a maglia, in parte con piccoli disegni. Sono conservati anche oggetti fatti all’uncinetto. Già alla fine del XVIII secolo sono testimoniati tessuti con decorazioni intessute e ricamate di bisso marino – come tutt’oggi sono ancora prodotte in Sardegna, a scopo illustrativo. Nella prima metà del XIX secolo appare la lavorazione dei ciuffi di fibra a pelliccia. Fa la sua comparsa, prima a Taranto e poi anche in Sardegna. I frammenti solidi e intrecciati, in cui il bisso marino non è altro che la superficie, pongono domande particolari.

Estrazione e purificazione della materia prima

Dove è stato trovato in grandi popolazioni, la pinna era principalmente un alimento. La carne di una conchiglia adulta potrebbe pesare fino a un chilogrammo. Le opinioni sulla qualità della carne variano notevolmente – da dura a fine. Solo il muscolo adduttore bianca e rotonda si dice sia una prelibatezza, simile a una capasanta. La barba di fibra, il bisso, era un sottoprodotto, come i gusci, che venivano utilizzate per vari scopi. La madreperla rossa è stata usata per fare bottoni e mosaici – ad Alghero un intero bancone del bar è fatto di mosaico della madreperla della Pinna nobilis.

Il bancone di questo bar nella città vecchia di Alghero è completamente ricoperto dalla madreperla della Pinna nobilis.

“An vielen Orten des mittelländischen Meeres wird nur bey stillen und heitern Wetter, wenn man die Steckmuscheln auf dem Sandgrunde kann stehend erblicken, ein Stock von oben in ihre immer offen stehende Oeffnung hineingestossen. Sogleich verschliesset sich vollends die Pinna und hält sich dadurch dergestalt am langen Stocke feste, dass sie damit umgedreht, von ihrem Standorte losgemacht und also herausgezogen werden kann.” (in italiano: “In molti luoghi del Mediterraneo, solo quando il tempo è calmo e sereno, quando le pinne si vedono sul fondo sabbioso, un bastone è spinto dall’alto nella conchiglia aperta. Immediatamente la pinna si chiude completamente e si aggrappa al bastone in modo tale da poter essere girato, liberato dalla sua posizione e tirato fuori.”) Così Johann Hieronymus Chemnitz (1730-1800), naturalista tedesco ed editore di un vasto gabinetto di conchiglie, descrive la raccolta della pinna. Nessuno ha potuto confermare se la pinna sia mai stata effettivamente raccolta in questo modo. “I sistemi di pesca erano diversi a seconda delle località. In certi casi il mollusco veniva strappato dal fondo direttamente dai pescatori che si immergevano, in altri la conchiglia veniva afferrata mediante una verga di ferro con l’estremità sagomata a formare un anello ogivale aperto su un lato che permetteva di strapparla dal fondo, in altri ancora, al posto della verga di ferro sagomato, veniva usata una lunga fune di sparto con l’estremità legata a cappio, la quale, calata sul fondo e stretta attorno alla pinna, ne consentiva l’asportazione. Un altro metodo consisteva nell’uso di una sorta di rastrello a rebbi lunghi e diritti: trascinato sul fondo marino dalla barca, sradicava le pinne che trovava lungo il percorso.” (Carta Mantiglia 2006) In acque poco profonde i subacquei portarono in superficie la conchiglia, a volte con l’aiuto di una corda legata intorno alla conchiglia e riavvolta poi sulla barca.

Pinna nobilis con barba fibrosa, il bisso e uno strumento di raccolta, Réaumur 1717

Raccolta della Pinna nobilis dalla barca a Taranto, von Salis Marschlins 1793

Ferro di raccolta in Sardegna, primo metà del XX secolo, Italo Diana

Ferro di raccolta a Taranto, primo metà del XX secolo, Mastrocinque 1928

Nel periodo di massimo splendore della produzione del bisso marino, ossia nel XVIII secolo e all’inizio del XIX secolo, le conchiglie venivano pescate dalla barca con varie catture, pinze e forchette, come mostra l’incisione nel libro del naturalista svizzero Carl Ulysse von Salis-Marschlins (1793). Alla fine del XVIII secolo, viaggiò in tutta l’Italia meridionale, scrisse diversi rapporti dettagliati in cui descrisse anche l’estrazione e la lavorazione del bisso marino. All’inizio del XX secolo, a Taranto è stato creato un nuovo attrezzo da pesca che combina un paio di pinze con una pala.

Giuseppe Capecelatro, buon osservatore e conoscitore della lavorazione della Pinna nobilis, grazie alla sua esperienza personale, dà un resoconto dettagliato di tutto il processo: “I pescatori raccolgono questi fiocchi e li vendono, la libbra a circa 16 carlini. Gli acquirenti li lavano con cura con acqua normale e poi con acqua saponata per pulirli da tutto lo sporco che hanno preso nelle profondità del mare. Quando i fiocchi sono ben asciugati all’ombra (poiché non devono essere esposti al sole), vengono trattati con un pettine largo. Ciò che rimane nei denti di questo pettine si chiama stradente (extra dentes, per così dire); viene utilizzato per il lavoro più grossolano. La procedura viene poi ripetuta con un pettine stretto per isolare ancora di più le parti più grossolane. Una volta che la lana è stata pulita in questo modo, viene tagliata dal nervo principale del guscio con un paio di forbici, posta su un cartoncino quadrato e stesa orizzontalmente con un altro cartoncino. I fili così spogliati vengono attaccati a una piccola camma, che viene avvolta in carta in modo che il vento non li porti via; e vengono poi filati con un fuso molto fine, come richiesto dalla delicatezza della lana. Il filo ottenuto viene preso due o tre volte e ritorto; viene poi utilizzato per le varie opere, tutte realizzate con ferri a mano, come si usa nella fabbricazione della calzetteria.” (von der Recke 1815)

Von Salis Marschlins 1793 specifica: “Während dem sie [die Seide] noch etwas feucht ist, wird sie mit den Händen sanft auseinander gerieben und dann wieder auf die Tafel gelegt und ganz getrocknet. Nach diesem wird die Seide durch den weiten Kamm gezogen, und hernach durch den engen. Diese sind beide von Bein, und gleichen, die Grösse ausgenommen, unsern Haarkämmen. Die Seide, so wie sie nun gekämmt ist, gehört zur gemeinen und heisst Extra dente. Allein diejenige, die zu feinern Arbeiten bestimmt ist, wird noch durch die eisernen Kämme, daselbst Scarde, bey uns Kartätschen genannt, gezogen.” (in italiano: “Mentre (la seta) è ancora un po’ umida, viene delicatamente strofinata con le mani e poi riposta sulla tavola e asciugata completamente. Dopo di che la seta viene tirata attraverso il pettine largo e poi attraverso quello stretto. Sono entrambi di gamba, e hanno la stessa dimensione dei nostri pettini per capelli. La seta, così come viene pettinata ora, appartiene a quella comune e si chiama Extra dente. Solo ciò che è destinato al lavoro più fine viene ancora tirato attraverso i pettini di ferro, lì chiamati cardi, nel caso di noi cartucce”.)

Barba di fibra grezza, il bisso

Ciuffo di bisso dopo il lavaggio nel mare

Pettinatura del bisso pulito

La barba di fibra è separata dai resti del piede

Assuntina e Giuseppina, le sorelle Pes di Sant’Antioco, in Sardegna, sono state invitate al primo congresso dedicato al tema del bisso marino (e porpora). Si è svolto a Lecce in 2013, organizzato dall’Università del Salento insieme all’Università di Copenaghen. Lì hanno dimostrato al pubblico affascinato l’intero processo di produzione, dalla pulizia delle barbe alla cardatura, alla filatura e alla tessitura. Ecco le loro parole:

“La barba di fibra grezza (il bisso) è inquinata da alghe, piccole conchiglie, pietre e sabbia. Soprattutto le barbe di fibra che si trovano sulla spiaggia sembrano palle di fango e sono appena visibili. La prima pulizia viene effettuata in acqua di mare, poiché il movimento delle onde aiuta a liberare più facilmente le fibre dalle impurità. Il secondo lavaggio in acqua dolce richiede molto tempo e pazienza fino a quando il sale dell’acqua di mare non si è sciolto. Le impurità residue vengono poi rimosse manualmente. Segue un terzo bagno in acqua dolce. Ora le barbe di fibra vengono asciugate all’ombra tra due teli. Poi la barba secca delle fibre viene leggermente strofinata tra le mani per separare le fibre e controllare che non vi siano impurità. Con un pettine le fibre vengono allineate per la prima volta.

Il passo successivo è la cardatura, un processo delicato in quanto le fibre sono molto fini e sensibili. La barba delle fibre viene pettinata con un pettine con perni in acciaio sottile – le singole fibre devono rimanere attaccate alla carne rimanente del piede della cozza. Segue l’ultimo passo: cardatura con un pettine molto fine. La filatura viene effettuata con un fuso corto in legno duro. L’intero processo richiede 2-3 giorni di lavoro, a seconda delle dimensioni della barba e – soprattutto – della lunghezza delle fibre”

Il colore naturale della barba pulita e pettinata della Pinna nobilis varia, probabilmente a seconda dell’ubicazione, probabilmente anche dell’età della cozza, dal bronzo o rame, giallo dorato, marrone, verde oliva al nero. Nel 1777 Chemnitz la descriveva come “una lucentezza strabica che nessun tintore può tingere in questo modo, né superarla”, e Swinburne la descriveva in 1785 come “un bel tessuto giallo-marrone che sembra simile all’oro lucido sul dorso di alcune mosche e coleotteri”.

Si può tingere il bisso marino? Il bisso marino è mai stata tinta? Entrambe le questioni sono discusse in modo controverso nella letteratura. Il fatto è che finora non sono stati trovati oggetti tinti. Tuttavia, l’opinione predominante è che il bisso marino è stata ricercata per il suo colore naturale, da cui si può concludere che di solito non sono stati effettuati esperimenti di tintura. Quanto diverse possano essere queste sfumature di colore lo dimostra la fotografia scattata nello studio della tessitrice sarda Arianna Pintus a Tratalias. Il fatto che una barba di fibra abbia di per sé diverse sfumature è dimostrato molto bene da un bisso parzialmente tagliato.

Barbe di fibre pulite e pettinate in vari colori naturali, Arianna Pintus

Bisso marino filato a mano in vari colori naturali, Sorelle Pes

Esperimento di tintura con vera porpora, a sinistra la lana, al centro il bisso marino “tinto”, a destra il bisso marino non tinto (Boesken Kanold 2013)

Esperimento di tintura con vera porpora, lana (Wolle), cotone (Baumwolle), bisso marino (Muschelseide), immagine al microscopio P. Stähli

La Enzyklopädie di Krünitz del 1805 lo conferma nel suo articolo sulla lavorazione del bisso marino: “… dabey es nicht erst, wie bey andern Seidenmanufacturen, kostbarer Färbereyen bedarf, weil mann diese Muschelseide ihre braune, olivengrüne, ins goldgelbe fallende glänzende unnachahmliche Farbe behalten lässet”. (in italiano: “…ma non è solo, come in altri produttori di seta, che sono necessarie preziose tintorie, perché questo bisso marino può conservare il suo colore marrone, verde oliva, lucido e inimitabile che cade nel giallo dorato”). Questo è ovviamente ancora vero in seguito, come testimonia Heinzelmann per la Sardegna nel 1852: “Der Vortheil bei diesem Zeug, Guacara genannt, ist, dass man nicht erst, wie bei der Seide, kostbare Färbereien bedarf.” (in italiano: “Il vantaggio di questa roba, chiamata guacara, è che non c’è bisogno prima di tutto di preziose tintorie, come per la seta.”)

È importante distinguere tra lo schiarimento della fibra e la tintura con coloranti o pigmenti. È indiscusso che un bagno nel succo di limone o acido citrico e l’applicazione di succo di limone alle fibre, al filato o all’oggetto finito fa sì che le fibre o il filato o il tessuto si schiariscano: “Ist nun die Arbeit fertig, so wäscht man sie, bestreicht sie mit Limoniensaft, lässt sie im Schatten trocknen, und fährt mit einem heißen Eisen darüber hin, wobei man aber ein Blatt weisses Papier dazwischen legt, damit die Wolle nicht durch die Rauheit des Eisens verletzt werde.” (in italiano: “Quando l’opera è finita, viene lavata, spazzolata con succo di lime, lasciata asciugare all’ombra e poi coperta con un ferro da stiro caldo, ma con un foglio di carta bianca nel mezzo, in modo che la lana non venga danneggiata dalla rugosità del ferro”). (Capecelatro, in von der Recke 1815) Altri sono convinti che la Pinna nobilis possa essere tinta. “Ai fiocchi ed alle Stoffe può essere dato pure il colore porpora, e qualsiasi altra tinta, essi conservano sempre la lucentezza serica”, scriveva Rita del Bene nel 1936 nella sua relazione “Procedimento per le fabbricazzione di tessuti mediante la utillizzazione dei filamenti fibrosi della Pinna nobilis”.

In un altro rapporto del 1939 si trovano vari modelli di bisso marino scolorite e tinteggiate (Strippoli 2004); non è chiaro da questo quali coloranti siano stati utilizzati. Tuttavia, sono sorprendentemente simili ai test di tintura effettuati nel 2010 dai Laboratori federali svizzeri per le prove sui materiali e la ricerca (EMPA) di San Gallo, utilizzando i moderni coloranti chimici.

L’artista Inge Boesken Kanold, che da decenni sperimenta la porpora vera e propria, ha provato la tintura con la porpora e l’applicazione di pigmenti viola sul bisso al congresso 2013 sul bisso e la porpora a Lecce. I risultati non sono convincenti: durante la tintura, il colore della Pinna nobilis diventa solo leggermente più scuro, mentre l’applicazione dei pigmenti mostra un risultato estremamente insoddisfacente. Non c’è da stupirsi, visto che anche i tentativi precedenti a Sant’Antioco erano falliti. Italo Diana ha cercato di tingere il bisso marino con la porpora (da lumache del genere Muricidae) o con sostanze vegetali. Entrambi hanno fallito, tuttavia: “Italo Diana tentò anche la tintura del bisso con la porpora ricavata dal murice ma non riuscì nell’intento; fallirono pure gli esperimenti di tintura mediante essenze vegetali.” (Carta-Mantiglia 2004)

Nella sua Tesi di laurea del 1967/68: “Aspetti e problemi dello sviluppo economico di Brindisi dal 1861 al 1881”, De Castro rivela un aspetto nuovo, e cioè che in passato – il periodo esatto a cui si riferisce non è chiaro – il termine industria del ‘bisso’ era erroneamente usato per indicare l’industria della porpora: “In passato l’industria del ‚bisso’ o ‚porpora’, come erroneamente si chiamava da altri, era una delle principali della Provincia”.

Potrebbe essere questo un motivo per la tesi che la Pinna nobilis sia stata tinta di porpora, come sostiene Luciana Basciu nel suo articolo del 1997 “Porpora e Bisso nell’antichità”? “Tornando alla porpora si può ragionevolmente ipotizzare che il termine ‘porpora di Tiro’ si riferisse unicamente al bisso tinto con il gasteropode Thais (sin. Purpura) haemastoma, e quindi di costo giustamente folle. Il bisso, che esiste ancora, non è un ‘lino sottile’, come riportato in tutti i testi, ma una specie di seta ottenuta trattando i filamenti con cui i molluschi lamellibranchi delle specie Pinna nobilis e pinna regalis si ancorano al fondo.” Una falsa dichiarazione, come sappiamo e già spiegato nel capitolo Aspetti linguistici → Bisso e bisso, il termine bisso/byssus nella Bibbia non sta per bisso marino, ma per il lino più fine. La biblica coppia di termini “bisso e porpora” è quindi lino tinto di porpora. In ogni caso, ci si chiede perché la seta dorata della Pinna nobilis avrebbe dovuto essere tinta con il prezioso porpora se il risultato era solo una tonalità leggermente più scura.

Ulteriore lavorazione della Pinna nobilis

Il frammento più antico identificato come bisso marino risale al IV secolo d.C. Purtroppo si è persa nei disordini della Seconda guerra mondiale. Non sappiamo se gli abiti interi siano mai stati tessuti con il bisso marino, come spesso si dice in letteratura – è più probabile che anche l’antico termine bisso sia stato confuso con il bisso marino.

La Madonna lavora a maglia, altare di Buxtehude, Maestro Bertram, ca 1400

La maggior parte degli oggetti conservati sono lavorati a maglia, la maggior parte sono guanti. Erano doni ideali nella nobiltà ecclesiastica e laica, esclusivi e lucenti, piccoli e facili da portare. Così, all’inizio del XVIII secolo, l’arcivescovo di Taranto ordinò alcune decine di paia di guanti per la corte di San Pietroburgo, oltre a calze e gilè.
Tarantinidion: Menade danzante, affresco di Pompei, I secolo d.C., Museo archeologico nazionale, Napoli

No, fino ad oggi non ho trovato da nessuna parte un tessuto trasparente di bisso marino, o simile a un velo. Con linea nebula – lino da nebbia, o ventus textilis – venivano chiamati tessuti a vento, a garza, tessuti più fini di lino, seta o lana (vedi Aspetti linguistici → Bisso e bisso). Il tarantinidion, spesso citato in relazione al bisso marino, l’abito trasparente delle cortigiane dell’antica Taras, che doveva “attirare l’occhio dei giovani maschi e scatenare la loro sensualità”, era probabilmente fatto di seta o della più fine lana di pecora pugliese. Questo potrebbe essere filato così finemente che potrebbe essere tessuto in un materiale diafano. (Sebesta 1994, D’Ippolito 2004)

Guanti di Limerick in un guscio di noce

Nella letteratura la finezza del bisso marino è spesso spiegata con l’argomento che un paio di calze (opzionalmente guanti) si adattano in un guscio di noce (opzionalmente tabacchiera). Questa leggenda si può probabilmente far risalire ai finissimi guanti inglesi di Limerick, in Irlanda, molto richiesti intorno al 1800: “Limerick gloves so delicate that they fit into a walnut shell” (in italiano: “guanti di Limerick così delicati da entrare in un guscio di noce”). Si trattava di guanti realizzati con la pelle molto delicata dei vitelli non ancora nati (Williams 2010, 122).

In ogni caso, tutti gli oggetti che finora sono stati chiaramente identificati come bisso marino non sono né trasparenti né velati. Potete convincervi di questo nell’inventario. Potrebbe essere il caso anche del Volto Santo di Manoppello, venerato come il Volto di Cristo. Da quando è stato ‘identificato’ come un tessuto di bisso – bisso marino -, il tessuto è diventato famoso in tutto il mondo (vedi Aspetti storici → 2000-2020). Ma anche qui si tratta molto probabilmente di bisso di lino (per un’analisi dettagliata si veda Maeder 2017a).

Lavorazione a maglia

L’oggetto più antico sopravvissuto in bisso marino, un berretto del XIV secolo, è lavorato a maglia; così come l’oggetto più grande, una sciarpa che pesa oltre 400 grammi. Gli oggetti più comuni inventariati sono i guanti di maglia.

Berretto a maglia, XIV secolo, Musée d’Art et d’Histoire, F-Saint-Denis
Dettaglio di un guanto lavorata a maglia, bisso marino con un altro filo

A Taranto, intorno al 1800, il bisso marino era quasi esclusivamente lavorata a maglia. “Le donne lavorano a maglia calze, berette, guanti ed altre manifatture ricercatissime in oltremonti”. (de Simone 1767) Tutti gli oggetti che l’arcivescovo Capecelatro ha donato tra il 1780 e il 1789 o ordinato a Taranto tra il 1802 e il 1805 (anche come dono) sono lavorati a maglia: guanti per signore e signori a dozzine, calze, gilet, berretti.

Cappello a forma di turbante, XX secolo, Italia
Dettaglio del cappello lavorato a maglia grossolana
Guanti a maglia finissima, Sardegna, XIX secolo, Muséum d’histoire naturelle, Parigi.

Alcuni degli oggetti in maglia sono molto fini. Ma c’è un altro modo: un oggetto molto particolare è stato reso pubblico solo nell’autunno del 2019: un cappello da donna a forma di turbante, lavorato a maglia molto grossolana, 83 grammi di peso, proveniente dal sud Italia, probabilmente degli anni Venti o Trenta del XX secolo. È stato messo all’asta in una casa d’aste di New York specializzata nel settore tessile.

Tessitura

“Jetzt wird die gesponnene Lana Penna fast allgemein gestrickt”, scriveva Jolowicz nel 1861, “Es scheint aber nicht, dass die Alten dieses Verfahren kannten; die Kleider, welche sie daraus gefertigt haben, müssen gewebt gewesen sein.” (in italiano: “Ora la lana penna filata è quasi universalmente lavorata a maglia. … Ma non sembra che gli antichi conoscessero questo processo; i vestiti che ne ricavavano dovevano essere tessuti”. Tessuti in bisso marino ne troviamo molti resoconti in letteratura. Poco è sopravvissuto.

Un arazzo quadrato pugliese è esposto all’Esposizione di Napoli del 1853, realizzato all’orfanotrofio Santa Filomena di Lecce: “…tutto lanapinna con dei piccoli trasparenti de seta agli angoli, e nel mezzo, dentro ghirlanda di fiori, il nome in cifra dell’Augusto nostro Re” (Maestri 1858). Nel 1887, in occasione del Giubileo d’Oro dei Sacerdoti, Taranto donò a Papa Leone XIII un arazzo che per lungo tempo era conosciuto solo dalle descrizioni. Sebbene il Vaticano confermi la ricezione di questo dono, non era più possibile accertare la sua ulteriore ubicazione. Ora è riapparsa – quasi completamente, ad un certo punto è stato rimosso solo lo stemma al centro. Un colpo di fortuna, e una storia ancora tutta da studiare.

Dettaglio di una sciarpa tessuta, Italo Diana, primo metà del XX secolo

Frammento tessuto, superficie in bisso marino, Natural History Museum, London

ÄFrammento tessuto simile, bisso marino con cachemire e vigogna, XIX secolo, D-Monschau

Un raro pezzo unico è una grande sciarpa tessuta in puro bisso marino dello studio Italo Diana di Sant’Antioco, con motivi intrecciati a forma di croce templare o di zampa. Ce ne devono essere altri, perché Margherita Raspa, ex allieva di Diana, ricorda: “Io ho tessuto una coperta in bisso che ha vinto il primo premio a Venezia: era tutta in bisso che io avevo filato e tessuto.” (Flore 2004) “Si fecero anche stoffe confezionate esclusivamente col bisso, ma con una tecnica tutta particolare, a disegni leggerissimi, sempre ispirati ai motivi ornamentali caratteristici del tessuto d’arte sarda”, scrive Zanetti nel 1964, e sui telai non solo comuni in Sardegna: “La tessitura … si è sempre fatta coi soliti telai artigiani, analoghi a quelli tuttora in uso anche nei villagi del continente”.

Nel Krünitz del 1805 ci sono segnalazioni di bellissimi tessuti che vengono ammirati nelle mostre. Ad esempio a Parigi nel 1801 “drap de pinne marine, gilets en vigogne et pinne-marine” (Holcroft 1804), nel 1806 “tissus fabriqués avec la laine de ce coquillage”, e nel 1855 “drap bleu Marie-Louise, mélangé de laine d’Allemagne et de pinne marine”. In occasione di un’esposizione di merci ad Aquisgrana nel 1813 fu esposta anche una tela di bisso marino: “par kurze Stückcher blau u. Grün mit Pinne Marine melirt” (Lenzmann a Scheibler, lettera del 14.8.1813). Nel 1867, De Simone parla anche di stoffa tessuta con un filato misto al bisso marino: “Si mescola alla seta nella filatura, quando vuolsi lavorare al telaio per drappo.” Con tutti questi tessuti mischiati con vigogna o altre lane, ci si chiede se si tratta davvero di bisso marino. Perché allo stesso tempo si parla anche di imitazioni: “In den niederländischen Fabriken, zu Franchement, Eupen, Montjoie, Verviers, Ensival, wurde früher auch unter diesem Namen ein feines, 9/4 Brabanter Elle breites, olivenfarbiges, in Gold spielendes Tuch verfertigt, welches die Farbe der Muschelseide nachahmen sollte, und wurde zu Ueberröcken getragen.” (in italiano: “Nelle fabbriche olandesi, a Franchement, Eupen, Montjoie, Verviers, Ensival, è stato realizzato con questo nome anche un tessuto fine, largo 9/4 di cubito di Brabante, color oliva, che giocava in oro, che doveva imitare il colore del bisso marino, e che veniva indossato per le sopraggonnare”.) (Jöcher 1840) E di seguito: “Einige Zeit lang verfertigte man in den französischen Seidenmanufakturen einen Zeug als Nachahmung der schönen, asiatischen Shawls aus dieser Muschelseide, ½ pariser Stab breit, wovon die Elle mit 500 Frkn., und ein Shawl von 2 Stab im Quadrat gross mit 2000 Frkn. bezahlt wurde.” (in italiano: “Per qualche tempo, i produttori francesi di seta hanno fatto cose per imitare i bellissimi scialli asiatici di questo bisso marino, ½ barra parigina larga, di cui il braccio è stato pagato 500 Frkn., e uno scialle di 2 barre in un quadrato è stato pagato 2000 Frkn.”) (Wieck 1851)

Ci avviciniamo un po’ di più alla realtà con l’analisi di un piccolo frammento di tessuto del Natural History Museum di Londra, “a small fragment of twill-woven fabric with felt backing”. Si tratta di un tessuto a doppia faccia molto robusto, spesso 1 ½ mm, realizzato in seta di gelso e lana finissima, che non è stato possibile identificare ulteriormente; le fibre di bisso marino dorato più fini formano la superficie (Maeder et al. 2019). Il Dictionnaire général des tissus anciens et modernes del 1857 lo descrive perfettamente: “L’échantillon … dans lequel la soie de pinne-marine ne fait que le poil, c’est à-dire l’endroit du tissu, a l’aspect d’une peau de bête, d’une grande finesse, telle, par exemple, que le poil de castor.” (in italiano: “Il campione… in cui il bisso marino è solo il pelo, cioè la posizione del tessuto, ha l’aspetto della pelle di un animale, di grande finezza, come, ad esempio, il pelo di castoro”.)

Abbiamo trovato un frammento molto simile in un campionario di tessuti del 1800 nella vecchia città tessile di Monschau. Lì il retro è fatto di finissima lana merino (Maeder 2013, Sicken 2013). Anche la lana di cachemire e vigogna è stata mescolata con il bisso marino: “Drappeggi (fab.). Malhout (?), casimirs, double-broche, vigogne et pinne marine” (de La Tynna 1820).

Ricamo e tessitura

In Francia, già nel tardo Settecento, il bisso marino veniva tessuto o ricamato in seta o in lino: “…und verfertigte vor mehreren Jahren wenigstens in Paris weisse seidene Westen, worin von jener braunen Muschelseide kleine Figuren gewirkt sind” (Krünitz 1805), (in italiano: “…e già diversi anni fa, almeno a Parigi, si facevano gilè di seta bianca, in cui si confezionavano piccole figure in maglia di quel bisso marino marrone”). Gli arazzi ricamati con bisso marino sono prodotti a Taranto dalla metà dell’Ottocento e vengono esposti in varie mostre industriali e commerciali. Nella prima metà del XX secolo sono stati prodotti diversi arazzi di questo tipo. Alcuni di essi si possono vedere in Campi 2004 e Strippoli 2004.

Arazzo MARE, seta di gelso ricamata in bisso marino, prima metà del XX secolo, Taranto

Bisso marino (scura) con filo rosso e oro, Sorelle Pes

Berretto per bambini

“Si fecero lavori vari, alcuni dei quali su trama d’altra fibra (cotone, seta etc.); arazzi su fondo di seta con ricami in bisso, eseguiti a telaio a grande rilievo, ed a motivi bizantini con animali stilizzati, secondo il gusto e la tradizione artistica dominante nell’Isola”, così nella prima metà del XX secolo nel atelier di Italo Diana a Sant’Antioco (Zanetti 1964).

Oltre agli arazzi, si conservano anche i vestiti dei bambini. Spesso si usa la trama a pibiones: “Il disegno decorativo, costituito da grani in rilievo, viene creato da un filo di trama supplementare che, fatto passare attraverso i fili dell’ordito, viene ripreso con le mani nei punti in cui si vuole ottenere il disegno e quindi avvolto su un ferro metallico (busa è infatti il ferro da calza), che ne consente l’innalzamento rispetto alla superficie del tessuto.” (Carta Mantiglia 1997)

Nell’Istituto statale d’arte di Sassari c’era una sezione tessitura, dove “il bisso è di nuovo valorizzato nella confezione di tappeti policromi, nei quali s’inserisce colla sua magica tinta aurea splendente” (Zanetti 1964).

Giuseppina e Assuntina Pes al telaio

Arianna Pintus al telaio

Le sorelle Pes di Sant’Antioco utilizzano oltre alla trama a pibiones anche altri due intrecci: punt’e agu, e mostr’ e’ litzus, che è realizzato con bisso marino molto finemente filato. Arianna Pintus intreccia il bisso marino in lino auto-alzato e lavorato nel suo studio di Tratalias. Per saperne di più su questi tessitrici di Sant’Antioco: Aspetti storici → 2000-2020.

Il pelo – a pelliccia

In una descrizione dell’Esposizione Universale di Vienna del 1873 si legge: “In den Hallen, die Italien einnimmt, ist ein Kragen, eine Muffe und einiges Andere, aus einer blondbraunen Faser gefertigt, ausgestellt. Diese Fasermasse ist in Plüschbindung verwebt und verleiht den Gegenständen ein pelzartiges Aussehen. Aber der eigentümliche matte und doch volle Glanz passt nicht zur Auslegung, dass dies, Thierfell sei.” (in italiano: “Nelle sa che l’Italia occupa, sono esposti un collare, un manicotto e diversi altri oggetti fatte di una fibra bionda marrone. Questa massa di fibre è tessuta in una trama felpata e conferisce agli oggetti un aspetto simile alla pelliccia. Ma la peculiare lucentezza opaca ma piena non si adatta all’interpretazione che si tratti di pelliccia animale.” (Grothe 1873) Non lo fu, ma un nuovo metodo di lavorazione del bisso marino introdotto a Taranto all’inizio dell’Ottocento, che trovò il favore anche in Sardegna alla fine del secolo. Nel 1916 Basso-Arnoux descrisse in dettaglio la produzione di tale pelliccia e aggiunse i disegni degli strumenti necessari.

Schizzo della lavorazione a pelliccia, Mastrocinque 1928

Collare a pelliccia, Mastrocinque 1928

Nel 1928, Mastrocinque descrive il processo di produzione, che fa risaltare la lucentezza dorata del bissso marino. In questo processo, barbe intere di fibre pulite e pettinate, dove i resti del piede non sono stati completamente tagliati, vengono cucite dal basso verso l’alto su un sottotelo, ravvicinate e sovrapposte. Un manicotto a pelliccia dell’orfanotrofio di Santa Filomena a Lecce fu premiato con una medaglia d’oro all’Esposizione di Napoli nel 1853.

Le barbe in fibra pulita e pettinata sono state anche trasformate in passamaneria , estremità di cordoni e gioielli, come mostra l’inventario.